| Rossanaandrea |
| | 17 Luglio 2008
L’Italia vive un momento in cui si ricerca uno stile di vita irreale. L’attore Roberto Citran ne parla con Fragmenta Pubblicato da Fausta Maria Rigo alle 01:42 in Interviste
Conosco Roberto Citran da tanti anni, sia professionalmente che personalmente. Abbiamo girato insieme un film che si chiamava Condominio con la regia di Felice Farina. Conosco la sua sensibilità e la passione che mette nel lavoro. Però questa intervista mi ha piacevolmente sorpresa. E' uscito fuori, netto, il ritratto di una persona soprattutto impegnata nel dialogo, interessato alla vera comunicazione. Un attore che prima di tutto crede fermamente nella onestà intellettuale della sua professione.
A cosa stai lavorando e quali sono i tuoi progetti futuri?
Sto girando Medicina generale 2, per Rai uno, questo è un lavoro che dovrebbe andare avanti fino a Novembre. Poi sto vagliando una paio di proposte interessanti di Cinema che dovrei riuscire ad "incastrare" tra le riprese di Medicina Generale. Inoltre c'è una proposta anche di televisione. Ma per adesso non ne parlo ancora, aspetto di avere degli elementi più certi.
Preferisci lavorare in Cinema o in Televisione?
È una domanda che un attore si fa sempre, specialmente dopo anni di mestiere. Il Cinema ha sicuramente dei tempi di lavorazione più dilatati, quindi avverti meno fretta, meno ansia, rispetto alla televisione. In effetti quando ti viene concesso di lavorare con dei ritmi più pacati ti senti meglio. A volte nel Cinema non sei nemmeno tu a chiedere più tempo per approfondire il personaggio, è il regista stesso che vuole così. Se sei abituato alla televisione la cosa può anche sorprenderti, positivamente è chiaro. È che veramente tra i due mondi c'è una grande differenza soprattutto nei tempi di realizzazione. La televisione ti costringe a correre, a fare tutto con una certa fretta. Detto questo però, c'è anche da dire che se lavori ad una serie che va avanti nel tempo allora è anche bello interpretare per anni un personaggio. Per me l'esempio è Medicina Generale, dove ho la possibilità di interpretare un personaggio che chiaramente ho fatto mio, approfondendolo.
Una cosa che mi viene da dire è che il lavoro della televisione richiede, da un certo punto di vista, una capacità di concentrazione maggiore. Devi essere più rigoroso, forse anche più tecnico, non hai molto tempo per "digerire" la scena, quindi devi arrivare sul set la mattina con le idee molto chiare. Se necessario devi prepararti a casa.
In ogni caso la reputo una ottima esperienza, che allena la tua forza espressiva e ti insegna a concentrarti. Una scuola che poi ti serve molto quando torni a lavorare nel Cinema. Ti avvantaggi del fatto che sin dalla prima prova sei abituato a dare il massimo, a rispondere immediatamente agli stimoli della storia. Diciamo che diventi più "veloce", più ricettivo, più capace di esplorare.
E poi chiaramente la Televisione ti dà una maggiore popolarità rispetto al Cinema, diciamo che sono due metodi di lavoro diversi ma complementari.
Per te il Cinema è sempre qualitativamente superiore alla Televisione?
Guarda proprio in questi giorni leggevo alcune discussioni sulle fiction televisive. Qualcuno parla di fiction di regime, qualcuno di fiction come strumento che deve accontentare e rassicurare il pubblico. Io non sono completamente d'accordo. Personalmente sono molto contento di Medicina Generale da questo punto di vista. Mi pare che la serie racconti esattamente quello che succede nella vita, con le stesse modalità con le quali accade. Un esempio: in una delle ultime puntate, si racconta di una paziente che ha una malattia incurabile che la porta inevitabilmente a morire. Non c'è modo che si salvi, non ci sarebbe nella vita e non c'è nella nostra fiction. In verità il personaggio decide di suicidarsi, ancora prima di morire spontaneamente, proprio per non dovere sopportare la malattia.
Quello che cerchiamo di fare con questa fiction è raccontare proprio la realtà. Questo non vuol dire che le fiction più edulcorate, quelle col lieto fine obbligatorio, non debbano esistere, anzi, però è importante che esistano anche le fiction più realistiche, come la nostra. Altrimenti si rischia di creare uno stacco troppo netto tra quello che si rappresenta nel Cinema e quello che va in onda in tv. I giornali descrivono il Cinema come unico veicolo per raccontare i fatti veri, reali. Questo in particolare riferito ai film che sono stati presentati a Cannes. Quelli di Garrone e Sorrentino per intercerci. Io dico che in parte è vero: il Cinema racconta in modo più realistico, a volte più crudo, però a me dispiacerebbe che proprio per questo prendesse la cronaca come una missione. Se così fosse finirebbe per parlare esclusivamente ad un pubblico di appassionati, si rivolgerebbe solo ai quei cinquecento amatori del genere. I film premiati chiaramente hanno più successo, ma cosa succede a quei film altrettanto buoni che non sono stati premiati? Temo che il loro destino non sia altrettanto facile, temo che i film meno conosciuti richiamino poco pubblico, specialmente se trattano dei temi difficili. Si sa che da sempre il genere che va più forte è la commedia.
Ecco, secondo me relegando il Cinema a certe tematiche si rischia di farlo diventare troppo elitario.
Ritornando alla tua domanda, io credo che il Cinema debba rimanere un fenomeno popolare pur parlando della realtà, la televisione invece non deve fare l'errore di essere fin troppo rassicurante, l'errore di raccontare personaggi eroici fino all'iperbole. Si dovrebbe sempre di più occupare di gente normale. Di noi stessi, di uomini comuni. Di un prete, di un soldato, ma come uomini non come entità superiori dotati di non so quali poteri.
Secondo te le fiction televisive tendono ancora alla retorica dell'eroe?
In alcuni casi sì purtroppo. È come se si dimenticasse di raccontare le debolezze degli esseri umani, anche di quelli più ispirati. Faccio un esempio: un prete che durante la guerra salva dei bambini, dei partigiani, è prima di tutto un uomo che ha fatto quella scelta. A volte le sceneggiature raccontano queste vicende in maniera enfatica, poco realista. C'è un po' la ricerca del dialogo ad effetto, con la frase che deve rimanere scolpita nella memoria. Credo sarebbe meglio vedere i personaggi nella loro interezza, col loro dialetto regionale, con le loro piccole mancanze, con tutte quelle caratteristiche di realtà che li rendono vivi e comprensibili.
Di contro poi ci sono delle fiction come quella su Borsellino che invece ricreano un personaggio con assoluta fedeltà, infatti a mio parere sono le più efficaci, quelle che si possono definire ottima Televisione.
In ogni caso io sono per un panorama sia cinematografico che televisivo che sia il più possibile variegato. Del resto anche Verdone lo dice: va benissimo la commedia, ma facciamo anche film più impegnati.
Forse il problemaitaliano è quello di andare troppo per mode, no? Abbiamo ondate di generi imperanti di cui inevitabilmente dopo un po' ci stanchiamo...
Si fa fatica certamente ad uscire da certi schemi e anche da una tradizione deleteria. Penso al fatto che nel Cinema comico per qualche ragione si ricalcano le orme dei film più brutti degli anni ottanta, dimenticando la migliore commedia all'italiana.
In Inghilterra, ad esempio, si fanno ancora delle commedia intelligentissime. È vero che anche lì ci sono le cose per ragazzini tipo Bridget Jones, ma sono cose minoritarie rispetto al panorama generale. In ogni caso hanno una scuola che permette loro di coltivare il genere comico al meglio e di riprodurlo anche in tv, le loro sit- com sono fatte e scritte benissimo. Noi italiani secondo me non riusciamo a fare una cosa del genere perché è come se avessimo la fissazione che tutto deve essere "pulito", come non contaminato dal costume, dal dialetto, dalla vita quotidiana. Anche la scelta degli attori in Italia avviene tenendo conto di una estetica troppo "pulita". Nei telefilm inglesi vedi i contadini con le rughe d'espressione, con la faccia vera, segnata. Da noi se ci fai caso tutti gli attori hanno i vestiti perfettamente stirati, i pigiami nuovi, le macchine anche ... paradossalmente questa cura maniacale dà l'impressione che manchi sempre qualcosa. Manca la vita vera, ecco cosa manca.
In effetti è strano che proprio nel Paese del Neorealismo oggi si facciano film così poco veri...
La cosa incredibile è che da noi se c'è una cosa che non manca sono i registi di talento, gli attori bravi e anche gli sceneggiatori. C'è veramente della gente bravissima. Ma nello stesso tempo siamo come avvolti da una "cappa" che preme per non rischiare. Il bello è che non ti saprei fare il nome del responsabile di questo. Non si può dire che siano i direttori di rete, l'Auditel o chi so io, è proprio il clima generale che fa pensare che non si voglia rischiare provando cose nuove. La sensazione netta è che ci siano dei parametri che per qualche ragione nessuno vuole rivoluzionare. Dei limiti che non si possono superare.
Be' anche il nostro Cinema risente di questo clima, no?
Direi di sì, a parte alcune eccezioni che infatti risaltano. Ecco, un esempio positivo in questo senso è Garrone. Mi ricordo il film che ha fatto prima dell'Imbalsamatore. Si chiama Primo amore. Alcune di queste scene sono di una verità così forte, così travolgente da farti veramente entrare nella storia. Da fartela vivere da vicino. Questo è il tipo di Cinema che piace a me, quello che ti fa dire: caspita! Che ti prende completamente.
Non lo so forse è soltanto il mio gusto. Io preferisco un film meno didascalico, meno perfettino, che però sappia raccontare le nostre esistenze, le nostre storie. Che poi, come diceva Zavattini, sono le cose che accadono nei tram.
Tu dici che è il tuo gusto, ma forse invece un Cinema più vero piacerebbe a tutti...
Probabilmente è come dici. Guarda per me le scene di un film dovrebbero risultare vere come quelle che puoi vedere per strada. Dovrebbero smuoverti internamente. È come quando subisci un lutto, quando vivi un fatto drammatico il tuo modo di guardare la vita cambia completamente, viene modificato, ha un sapore completamente differente. Diciamo che c'è una crescita. Ecco, un bel film dovrebbe in qualche modo accrescere la tua esperienza, modificarti, anche se in minima parte.
Se invece si rimane ancorati alle paure che non ci fanno toccare argomenti scomodi, tutti perdiamo la capacità di recepire certe cose anche come spettatori.
Secondo te come mai c'è questo generale bisogno di ripulire, di abbellire la realtà? Cioè di raccontarla sempre in modo finto.
Penso che ci sia in noi una gran voglia di lasciarsi alle spalle una povertà che è ancora troppo recente. Io sono cresciuto con una madre che mi parlava della guerra un giorno sì e uno no. Chi nasce oggi è destinato a diventare una persona che fortunatamente non ha presente questo tipo di problemi, però non è nemmeno capace di capirli. Non è un mistero che i ragazzi oggi siano così viziati da diventare quasi irreali. I genitori, di contro, adesso si stanno accorgendo che preservare i loro figli da ogni piccolo dolore non fa altro che creare dei giovani incapaci di venire a patti con la realtà. Se tu vedi come anche la figura dell'insegnante sia stata completamente delegittimata. Gli esempi sono noti a tutti, ci sono dei professori che vengono addirittura picchiati dai genitori. In generale i genitori sono iper-protettivi ma anche poco comunicativi. Direi quasi terrorizzati dal fatto di non compiacere del tutto i propri figli. Forse tutto questo genera delle persone più pavide o comunque non abituate a vivere nella realtà, quindi anche incapaci di capirla fino in fondo. Nessuno riesce a fare capire ai ragazzi cosa vuol dire la fame nel mondo ad esempio, la sofferenza in genere. Non si riesce quindi a comunicare veramente con loro, a farli sentire parte di una comunità che vive una serie di problemi. Da qui viene anche l'egoismo dilagante, l'egocentrismo di cui sono malati prima di tutto i ragazzi e poi tutti noi.
L'egoismo porta poi ad una chiusura in tutti i sensi...
E non solo a questo, anche alla mania di doversi creare un nemico, a tutti i costi. In Italia viviamo un momento di xenofobia incredibile. Gli immigrati fanno da capro espiatorio a molte delle nostre mancanze, oltre alla nostra incapacità di accettare i lati meno piacevoli della vita. L'immigrato è diventato il nemico da combattere in modo che la tua identità individuale venga riconosciuta. In sostanza noi per sentirci parte del Paese, per sapere che siamo italiani, abbiamo bisogno di parlare male di un altro popolo.
Il problema è che manca invece proprio la capacità vera di identificarsi col prossimo. Basta guardarsi intorno per capire che tipo di scelte fa quotidianamente la gente, sono appunto scelte estetiche, di facciata, che alla base non hanno una vera pulsione emotiva. I giovani non sono messi meglio degli adulti, se pensi alle ragazzine che hanno ucciso quella suora, o a quelli che fanno a botte e si filmano ... viene perlomeno da dire che nessuno di loro abbia una visione realistica del mondo, e nemmeno un vero senso di identità.
È proprio il concetto di realtà che si sta perdendo, basta solo pensare che la gente crede nei reality, cioè la cosa più finta che esista.
Ovviamente questo modo comune di pensare crea il terreno più fertile ai pregiudizi. Viene tutto incanalato e definito secondo delle logiche assolutamente superficiali.
È vero, il pregiudizio la fa da padrone...
Guarda, ti racconto un fatto che non dimenticherò mai. Una cosa che ho imparato da un mio professore di università. Studiavo psicologia, ricordo che ad un esame il professore ha chiesto ad una ragazza prima di me:" Se ha in cura un ragazzino che ha difficoltà a leggere, lei come si comporta?" La ragazza ha risposto: "Be', chiedo subito di parlare coi genitori". Il professore:" No, no, mi dica cosa fa prima di tutto". Lei continuava a rispondere che avrebbe ricercato le cause del disturbo nell'ambito familiare. Il professore scuoteva la testa e la ragazza riusciva a dare solo delle risposte sociologiche. Ad un certo punto il professore ha detto:" Se un bambino non riesce a leggere la prima cosa da fare è un esame oculistico, se non vede bene è inutile andare a cercare delle ragioni recondite rischiando anche di peggiorare la sua difficoltà".
Questo per dire che noi tutti siamo completamente accecati dai nostri pregiudizi, agiamo come degli scemi, senza renderci conto magari di cose che salterebbero agli occhi a chiunque avesse un minimo di obiettività maggiore.
Ecco un esempio di come l'individualismo, la mancanza di lucidità ci rende stupidi.
La verità spesso è semplicissima.
Sì, il problema è che non è facile dirla, è scomodo. Guarda il film Beautiful country di Esmeralda Calabria e Andra D'Ambrosio, è stato girato prima che scoppiasse la così detta "emergenza rifiuti". All'epoca non ebbe un grande successo, adesso qualcuno inizia a parlarne perché fa notizia. È un film incredibile, un vero pugno nello stomaco a tutti quelli che continuano a volere mettere la testa sotto la sabbia, a non volere guardare in faccia la realtà.
È paradossale che proprio nell'era della comunicazione, la gente abbia così paura della verità, no?
Sì, paradossale e triste.
Quando guardi un dibattito televisivo quante sono le persone che veramente capisci? Quanti sono quelli che parlano con sincerità, in modo semplice?
Pochissimi?
Eh.
Senti, per concludere, dimmi una cosa bella. Parlami di qualcosa che ti entusiasma, che ti fa sentire meglio.
Be', ho scritto un libro per ragazzi che si chiama Ciao Ludo per l'editore Gallucci. È il racconto della mia infanzia, in particolare dell'ultimo anno passato alle elementari, prima di andare in prima media. Si svolge in pieno boom economico, negli anni sessanta e descrive tutte le esperienze di un ragazzino di quell'età, dalla prima sigarette ai primi baci alle ragazze. Ho raccontato senza nostalgia, con ironia e semplicità, parlando di un mondo che oramai esiste soltanto in provincia. Un mondo, appunto, più naturale, più sano.
È il mio modo di descrivere una realtà alternativa alla attuale, una realtà che non nascondo di preferire.
Un'altra cosa che mi ha appassionato è stato portare in Teatro dei testi di Mario Rigoni Stern. Sono tre testi che ho fuso insieme creando un'unica storia. A prima vista potrebbe apparire come un'operazione strampalata: come si pretende che delle storie di alpini possano interessare ad un giovane romano? Invece l'obiettivo era quello di parlare della universalità nelle vicende umane. Devo dire che al pubblico lo spettacolo è piaciuto molto. Alcuni si sono commossi. È stato molto bello vedere che almeno quella volta si era instaurata una certa comunicazione col pubblico.
È il lato veramente bello del mio mestiere. Una volta sono andato a presentare l'uscita di Distretto di Polizia dove avevo interpretato il personaggio di un padre che impazziva per la perdita del figlio piccolo. Una ragazza mi ha fermato per farmi i complimenti. Io ero chiaramente contento, l'ho ringraziata. E lei prima di andarsene ha detto:" È successo anche a noi quando è morto il mio fratellino, mentre guardavo il film lei era diventato mio padre".
Ricordo che le ho stretto la mano e sono scappato, non riuscivo a trattenere le lacrime. Dopo ripensandoci ho capito che non avevo retto al confronto con questa ragazza giovanissima, col suo dolore.
Ecco, questo intendo per paura di affrontare la realtà.DA: http://fragmenta.blogosfere.it/2008/07/lit...n-ne-parla.html
E DA: http://blogosfere.it/2008/07/litalia-tra-c...rto-citran.html
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